Circa 2 anni dopo il primo Congresso svoltosi all’Università Gregoriana (ottobre 2017 LINK) già commentato sul blog di PURIdiCUORE (LINK), la Conferenza Promoting Digital Child Dignity si è tenuta in Vaticano, lo scorso novembre (LINK). Un impressionante gruppo di esperti, inclusi rappresentanti di aziende tecnologiche e dell’ONU, ha assistito a questo evento ampiamente mediatizzato. I partecipanti vennero ricevuti da Papa Francesco, che sottolineò come «Il propagarsi della pornografia nel mondo digitale cresce in modo vertiginoso. Ciò è già di per sé un fatto molto grave, frutto di una perdita generale del senso della dignità umana e legato non di rado anche al traffico di persone. Il fenomeno è ancora più drammatico per il fatto che tale materiale è largamente accessibile anche ai minori via Internet e soprattutto tramite i dispositivi mobili. La maggior parte degli studi scientifici concorda nel mettere in luce le pesanti conseguenze che ne derivano sulla psiche e sui comportamenti dei minori. Sono conseguenze che dureranno per tutta la loro vita, con fenomeni di grave dipendenza, propensione a comportamenti violenti, relazioni emotive e sessuali profondamente turbate. È urgente rendersi conto sempre meglio delle dimensioni e della gravità di questi fenomeni».
Uno degli organizzatori dell’evento, anche uno dei relatori principali, ha avuto la gentilezza di rispondere alle mie domande (il 4 dicembre 2019). Il suo nome è Ernie Allen. È un esperto a livello globale dell’economia digitale; dei lati oscuri di Internet; dei partenariati pubblico-privato e della protezione dei bambini anche per quanto concerne i rapimenti, lo sfruttamento sessuale, la violenza sessuale e il traffico di persone (LINK) nonché Presidente della WePROTECT Global Alliance (LINK).
Tebaldo Vinciguerra: Leggiamo spesso, nei media, articoli e statistiche concernenti l’accesso da parte dei bambini alla pornografia (accesso intenzionale o accidentale…), l’abuso di bambini finalizzato alla produzione di pornografia, il sexting tra bambini, e fatti simili. Cionondimeno, tali statistiche potrebbero sembrare aneddotiche e lasciare spazio al diniego (non succederebbe mica a mio figlio), possono sembrare inaffidabili (studi di questo tipo si basano solo su piccoli gruppi di bambini non-rappresentativi), e volutamente sensazionalistici (i giornalisti potrebbero tendere a insistere eccessivamente su questi fatti scabrosi pur di attrarre più lettori).
Stando a lei, quanto è seria / allarmante la situazione? Ci sono statistiche o rapporti che lei considera accurati ed affidabili?
Ernie Allen: Qualche settimana addietro, il New York Times scrisse «Venti anni fa, le immagini online erano un problema; 10 anni fa, un’epidemia. Adesso, la crisi è a un punto di rottura». L’anno scorso, il National Center for Missing & Exploited Children negli USA ha gestito 18 milioni di segnalazioni di abusi sessuali di bambini online. Queste segnalazioni concernevano 45 milioni di immagini di bambini sessualmente abusati. La Fondazione Internet Watch nel Regno Unito ha segnalato che 1/3 delle immagini di abusi sessuali di bambini erano del tipo più grave, includendo stupro e tortura di bambini.
Ogni immagine è la fotografia della scena di un delitto. In ogni immagine c’è un bambino vittima in qualche parte nel mondo. Eppure, questo rimane un problema insufficientemente riconosciuto e insufficientemente segnalato. Questi bambini sono vittime nascoste. Nella stragrande maggioranza di questi incidenti, il bambino non lo dice a nessuno. Coloro che abusano tendono ad essere persone vicine al bambino; per esempio parenti, amici, vicini, qualcuno che vi abbia legittimamente accesso. I bambini sentono che non possono farsi avanti.
Stiamo tentando di costruire una risposta globale. Come lo ha spiegato, ho l’onore di essere il Presidente della WePROTECT Global Alliance, che oggi include 90 Paesi, 22 aziende del settore tecnologico e 26 grandi organizzazioni tra le quali UNICEF e INTERPOL. Lavoriamo senza sosta per destare l’attenzione dei leader globali su questo problema e per agire. Il nostro Vertice globale si svolgerà ad Addis Abeba in Etiopia la settimana prossima, in partenariato con l’Unione Africana. Sono fiero che ci siano 90 Paesi membri di WePROTECT e impegnati ad agire, ma dovrebbero essercene molti di più.
Ecco perché la leadership di Papa Francesco è così importante. La sua volontà a sfidare l’industria tecnologica, capi religiosi e altri per cercare soluzioni reali può cambiare il modo in cui fronteggiamo questo problema. Il dialogo svoltosi in Vaticano due settimane addietro era solo un inizio, ma siamo impegnati a fare in modo che non sia solo una conferenza in più.
TV: Nel 2017, avete adottato una Dichiarazione (LINK) e un Piano Strategico (LINK). Cosa è successo in questi due anni?
EA: Nel mese di ottobre 2017, vari leader del settore accademico, ricercatori, rappresentanti della società civile, di Governi, media e religioni si radunarono per il Congresso mondiale Child Dignity in the Digital World. I partecipanti adottarono all’unanimità la Dichiarazione di Roma poi presentata a Papa Francesco, che disse «la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di riorientarla e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale».
Rispondendo a questa sfida, e grazie al supporto della Fondazione Human Dignity basata in Irlanda, il 6 giugno 2018 nasceva la Child Dignity Alliance, una coalizione della buona volontà (coalition of the willing) impegnata a proteggere la dignità del bambino nel mondo digitale. La Child Dignity Alliance è soverchiantemente basata sull’azione volontaria.
Basata sulla Dichiarazione di Roma e sul Piano Strategico per l’implementazione della Dichiarazione, la Child Dignity Alliance ha creato inizialmente cinque gruppi di lavoro per perseguire obiettivi specifici.
Una delle prime sfide è che i decisori politici e le persone comuni nel mondo semplicemente non riconoscono o capiscono la magnitudine del problema. Grazie alla leadership della Baronessa Joanna Shields e all’aiuto di Harvard PR nel Regno Unito, abbiamo iniziato a lavorare per generare una consapevolezza globale su questa crisi.
Una seconda sfida è dovuta al fatto che le denunce sono poche e la consapevolezza è bassa: ne consegue una carenza di dati empirici per definire e misurare il problema. Abbiamo allora creato un gruppo di lavoro sulla ricerca, pilotato dal psichiatra infantile di fama mondiale prof. Ernesto Caffo. Abbiamo iniziato mobilitando numerosi dei principali studiosi e ricercatori al mondo per generare migliori dati e una migliore comprensione di questi complessi problemi.
Un terzo gruppo di lavoro è stato guidato da Padre Hans Zollner del Centre for Child Protection e dalla Prof.ssa Elizabeth Letourneau del Center for the Prevention of Child Sexual Abuse dell’Università Johns Hopkins. Attraverso i loro sforzi, abbiamo iniziato a creare squadre di ricerca per focalizzarsi sulla prevenzione primaria e utilizzare il modello della sanità pubblica per intervenire più presto nelle vite dei potenziali aggressori, prima che aggrediscano. Durante il Congresso mondiale del 2017, uno studioso di primissimo piano stimava che almeno 1% degli uomini sia afflitto da pedofilia. 1% della popolazione maschile mondiale significa 35 milioni di persone. Non saremo mai in grado di arrestare e giudicare milioni di persone. È dunque necessario affrontare questo problema anche attraverso un approccio di sanità pubblica.
Un quarto gruppo di lavoro era guidato dalla Commissaria per la eSafety in Australia, Julie Inman Grant, e ha rilasciato uno studio rivoluzionario su come la tecnologia può combattere la proliferazione delle immagini online di abuso sessuale di bambini. Ha sfidato l’industria tecnologica ad innovare e a capeggiare uno sforzo per porre un termine all’abuso e allo sfruttamento di bambini sulle sue piattaforme.
E sono stato onorato di guidare il quinto gruppo di lavoro, quello che ha tentato di sviluppare e attuare la verifica dell’età per evitare che i bambini accedano a contenuti inappropriati, inclusa la pornografia online. Per generazioni, abbiamo imposto barriere all’accesso da parte dei bambini ai contenuti “per adulti” nel mondo fisico. Crediamo che sicuramente possiamo fare altrettanto nel mondo digitale. Oggi, stiamo discutendo questo approccio con leader di vari Paesi, tra i quali Regno Unito, Australia, Africa del Sud, Canada, Nuova Zelanda, Stati Uniti d’America, Svezia, Italia e altri. Ci sarebbe tanto altro da dire.
TV: Alcuni studiosi hanno proposto una metafora tra l’inquinamento ambientale e l’inquinamento pornografico. Il meccanismo dell’inquinamento può essere semplicemente descritto come: un elemento inquinante (la fonte di contaminazione), un itinerario (o un vettore), un luogo (o un bersaglio) inquinato. Di solito, diremmo che chi genera inquinamento ha la responsabilità di prevenire danni, di evitare fuoriuscite di prodotti inquinanti. Poi, se qualche inquinamento comunque si verifica, gli itinerari (o i vettori) vanno sorvegliati scrupolosamente per evitare o ridurre il rischio di esposizione nociva. Dunque, il peso non ricade principalmente su chi viene inquinato (compratevi delle maschere per respirare) ma piuttosto su chi inquina (evitate emissioni tossiche, installate filtri sulle ciminiere) e su chi stabilisce le regole (legiferare, applicare, valutare l’efficacia della legislazione e dell’applicazione). Lei concorda con questa metafora? Si sì, dobbiamo assumere che Governi e industria (nell’accezione più ampia del termine) non hanno fatto abbastanza, poiché l’accesso alla pornografia da parte dei bambini è proibito in tante Nazioni, ciò malgrado i bambini vi accedono! Allora, cosa possono fare – realisticamente e responsabilmente – Governi e industria?
EA: Concordo con la metafora. C’è chi ha asserito che quello che proponiamo è interferire con la libertà di espressione. Non sono d’accordo. Non stiamo proponendo di limitare l’abilità di alcun adulto di accedere a qualsiasi contenuto legale. Ma oggi viviamo in un mondo in cui i bambini non accedono a Internet dal PC nel salotto di casa, sotto gli occhi vigili dei loro genitori. Oggi, i bambini si portano dietro Internet con i dispositivi mobili nelle loro mani, e bambini sempre più giovani accedono a contenuti grafici in un tempo in cui i loro cervelli sono altamente malleabili e in pieno sviluppo. Il nostro timore è che ciò influenzi come vedono il mondo e quello che considerano “normale”. E il nostro timore è che ne pagheremo un prezzo, in quanto società. Sono già in opera iniziative per controllare l’età prima di accedere a siti di scommesse online oppure per l’acquisto di alcolici. Siamo convinti che sviluppare e applicare un simile sistema è inevitabile. Ma stiamo premendo affinché ciò avvenga.
TV: Quali sono i suoi più grossi problemi o motivi di frustrazione? Forse i Governi riluttanti nel cooperare?… Forse i promotori di un Web libero e senza regole?… Forse l’industria che dice «non è colpa nostra»?… Forse i media che promuovono una cultura in cui consumare/produrre porno sia “figo”?
EA: La mia più grande frustrazione è che l’abuso e lo sfruttamento dei bambini online continui ad essere visto come una conseguenza involontaria della nuova tecnologia. Mi lasci dare un esempio. Nei primi anni 2000, il Dipartimento della Difesa degli USA sviluppò una tecnologia che consente alle persone di usare Internet in modo anonimo. L’intento era nobile: proteggere dissidenti politici e giornalisti dalle rappresaglie di regimi repressivi. Ma apparentemente nessuno aveva contemplato che questa tecnologia avrebbe potuto essere usata anche da altri, non solo da dissidenti e giornalisti. Il risultato è l’anonimo Dark Web, oramai un luogo di incontro per il traffico di droga, di armi e di esseri umani, per reclutare assassini, per il crimine economico e, beninteso, per lo sfruttamento sessuale di bambini. Un’Università britannica ha calcolato che, sebbene solo 2% dei siti del Dark Web siano dedicati alla pedofilia, concentrano oltre 80% del traffico nel Dark Web. I predatori di bambini cercano situazioni in cui, virtualmente, non corrono rischi.
Mentre succedeva tutto ciò, l’ecosistema tecnologico è mutato. Oggi, la maggioranza dei bambini accede ad Internet avvalendosi di dispositivi mobili. Il primo iPhone non venne rilasciato se non nel 2007. Facebook iniziò la sua espansione globale nel 2006. Twitter apparve nel 2006, WhatsApp nel 2009, Instagram nel 2010. Nel 2009, grazie alla Microsoft, abbiamo lanciato PhotoDNA che consente alle società di individuare le “impronte digitali” che rendono unica una di quelle immagini digitali che costituiscono “il peggio del peggio”, in modo da identificarla, rimuoverla dai server, e segnalarla alle autorità. Fatto sta che le evoluzioni odierne della tecnologia, come la crittografia end-to-end, mettono a repentaglio i progressi precedenti. Gli strumenti che consentono di rintracciare immagini ricercate (hash matching tools) e la rimozione di immagini di abuso sessuale di bambini corrono il rischio di diventare vittime della ricerca di una privacy totale. Credo che sia vitale anticipare le conseguenze involontarie, e non limitarsi a gestirle una volte che si verificano. Credo, altresì, che non sia sufficiente limitarsi a educare genitori e bambini su come usare questi complessi, nuovi strumenti per la sicurezza. Questo sposta il fardello dal fornitore di tecnologia all’utente. Questa crisi globale non è la colpa dei bambini. È un problema tecnologico. Richiede soluzioni tecnologiche. Dobbiamo creare nuove tecnologie che massimizzino la privacy dell’utente senza però fornire una protezione assoluta e impenetrabile per chi sfrutta, chi abusa.
TV: Il Presidente Macron, lo scorso mese a Parigi, avanzò alcune forti proposte in concernenti la protezione dei bambini online (LINK). Ciò premesso, ricordo come il Premier Cameron – già vari anni addietro – avesse avviato un processo interessante nel Regno Unito. Vuole fare qualche commento su quanto è successo, o avrebbe potuto succedere, in merito nel Regno Unito?
EA: Sono incoraggiato dal chiaro interessamento e preoccupazione del Presidente Macron. Questo è un tema che ha bisogno di promotori forti e credibili a livello globale. Il Primo Ministro Cameron lo fece, e il risultato fu WePROTECT e molto altro ancora. Disse «Non lo faccio come politico. Lo faccio come babbo». Abbiamo bisogno di più stimoli del genere. La nostra sfida oggi è che i leader mondiali stanno fronteggiando numerose e pressanti sfide. Dobbiamo fare in modo di mettere anche questa sfida sull’agenda globale.
TV: Quale è il motivo – o il valore aggiunto – del vostro contatto col Vaticano, ai livelli più alti? Avete un dialogo costruttivo anche con altre religioni?
EA: Oggigiorno, Papa Francesco è il leader meglio conosciuto e più rispettato sul pianeta. Quando prende la parola su un qualsiasi argomento, il mondo ascolta. La sua volontà di coinvolgere e di guidare su questo argomento è fonte di ispirazione. Il suo discorso di due settimane fa era una potente chiamata all’azione e credo ci abbia dato una road map per avanzare. Il suo messaggio diventa la nostra agenda per il futuro. Era storico, incredibilmente tempestivo ed importante.
Certo, siamo impegnati in un dialogo costruttivo con altre religioni. Al Congresso mondiale di Roma nel 2017, gli Emirati Arabi Uniti si offrirono per organizzare un Forum interreligioso. Così, nel novembre 2018, convocarono questo Forum interreligioso ad Abu Dhabi, radunando leader dell’Islam, del Cristianesimo, Giudaismo, Buddismo, Induismo, Shintoismo, Baha’i, Sikh e altri. I leader religiosi adottarono in modo unanime la Dichiarazione Abu Dhabi, che recita: «proteggere la dignità dei bambini è una causa che unificherà e mobiliterà le persone attraverso Paesi, culture e fedi».
La nostra premessa è che 85% degli abitanti della Terra, oggi, professano una fede religiosa. Non c’è luogo migliore per avviare uno sforzo destinato a creare dialogo, consapevolezza e azione in qualsiasi comunità, in tutto il mondo. La nostra speranza è che si possano iniziare incontri e accrescere la consapevolezza in ogni chiesa, moschea, sinagoga, tempio, ashram, eccetera. Attraverso tutto il mondo.
Durante il nostro incontro in Vaticano due settimane fa, abbiamo ascoltato Papa Francesco, ma anche il Grande Imam di Al Azhar – il luogo religioso più influente nell’Islam Sunnita; un Imam sciita; il Metropolita ortodosso di Francia; Rabbini; un Guru hindu con milioni di seguaci; il rappresentante della fede Baha’i presso l’ONU; e altri. Il messaggio era chiaro. Il mondo deve lavorare unito su questo problema e non c’è miglior punto di partenza se non le comunità di fede.
TV: Qualche consiglio per genitori? Per sacerdoti o cappellani che lavorano con giovani o con genitori?
EA: Il nostro primo consiglio per genitori è quello di coinvolgersi nella vita del proprio bambino e di rimanere coinvolti. Parlate ai vostri bambini, rafforzateli, assicuratevi che capiscano che hanno il diritto di dire “no”, e se qualcosa non risulta loro corretto allora devono dire “no” e allontanarsene, e dirlo a voi o ad altri adulti di fiducia. In tanti casi il bambino non si confida col genitore né con un adulto di fiducia. Hanno paura, sono imbarazzati, si sentono responsabili e non dicono nulla a mamma, al papà, a nessuno.
A chi lavora coi giovani: è importante capire che l’immensa maggioranza dei predatori di bambini cerca, in un primo tempo, un accesso legittimo verso i bambini. Incessantemente ho tentato di debellare il “mito dello sconosciuto”. Di norma, chi è diventato predatore dei nostri bambini non era “uno sconosciuto” negli occhi o nella mente del bambino. Dunque, ogni organizzazione che lavora o interagisce con bambini deve dotarsi di protezioni. Le organizzazioni che prestano servizio alla gioventù devono effettuare significative verifiche sui dipendenti o sui volontari. Deve esserci una supervisione per le interazioni tra bambini e staff. Al fine di sincerarsi che non ci siano pericoli inerenti per i bambini, bisogna rivedere sia la costruzione fisica sia la struttura (physical design and layout). E tutte lo organizzazioni devono dotarsi di forti politiche e procedure di tutela, e applicarle. Minimizziamo il rischio che bambini affidati a noi vengano abusati o feriti se ce ne preoccupiamo e se prendiamo robuste disposizioni a monte, non limitandoci a reagire agli incidenti quando si verificano. Questo non è un problema che concerne un’unica istituzione. Si manifesta in organizzazioni al servizio dei giovani in tutto il mondo, religiose e secolari. Per questo è davvero imperativo che ciascuna organizzazione ci pensi e fronteggi tempestivamente questi temi, che abbia robuste politiche di tutela e sappia cosa fare quando emergono problemi. Ed è imperativo capacitare i nostri bambini in modo che, se sentono che qualcosa non va bene, lo dicano all’adulto di fiducia.
TV: Grazie e buon lavoro!
4 dicembre 2019