Il Santo Padre, inizio agosto, ha dato inizio a un ciclo di catechesi del mercoledì sulla dottrina sociale intitolato “guarire il mondo”. Durante l’udienza del 12, dedicata alla dignità umana, Papa Francesco osservava:
«il coronavirus non è l’unica malattia da combattere, ma la pandemia ha portato alla luce patologie sociali più ampie. Una di queste è la visione distorta della persona, uno sguardo che ignora la sua dignità e il suo carattere relazionale. A volte guardiamo gli altri come oggetti, da usare e scartare. In realtà, questo tipo di sguardo acceca e fomenta una cultura dello scarto individualistica e aggressiva, che trasforma l’essere umano in un bene di consumo».
Parole davvero forti! Ovviamente non vennero pronunciate in una catechesi sulla sessualità e ancora meno sulla pornografia, comunque ben rispecchiano la visione “pornificata” della persona umana: cioè un oggetto, che viene usato il tempo che serve. Già nel 1989, il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali spiegava che
«uno dei messaggi fondamentali della pornografia (…) è il disprezzo degli altri, considerati come oggetti piuttosto che come persone. Così, la pornografia e la violenza soffocano la tenerezza e la compassione per far posto all’indifferenza e persino alla brutalità» (in Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una risposta pastorale, § 18).
Verso la fine dell’udienza di cui sopra, Papa Francesco aggiungeva: «la fede sempre esige di lasciarci guarire e convertire dal nostro individualismo (…). Possa il Signore “restituirci la vista” per riscoprire che cosa significa essere membri della famiglia umana».
In questo processo di guarigione e conversione, come non pensare al ruolo della confessione e del confessore! I riferimenti autorevoli in merito, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, sono ai § 1420-1498. Inoltre, riporto di seguito altre parole di Papa Francesco:
«Siamo mandati ad infondere coraggio, a sostenere e condurre a Gesù. Il nostro è il ministero dell’accompagnamento, perché l’incontro con il Signore sia personale, intimo, e il cuore si possa aprire sinceramente e senza timore al Salvatore. (…) siamo stati scelti – noi pastori – per suscitare il desiderio della conversione, per essere strumenti che facilitano l’incontro, per tendere la mano e assolvere, rendendo visibile e operante la sua misericordia. Che ogni uomo e donna che si accosta al confessionale trovi un padre; trovi un padre che l’aspetta; trovi il Padre che perdona» (Omelia del 4 marzo 2016).
Dopo questa premessa, vorrei suggerire come validi spunti per la riflessione quattro contributi provenienti appunto da sacerdoti.
Il primo è un’intervista già pubblicata su questo sito, concessa dal fondatore belga del movimento Jeunesse-Lumière, don Daniel-Ange. Un paio di anni addietro queste erano le sue riflessioni a proposito della pornografia e della confessione:
«mi risulta che oramai molti giovani, cristiani e non cristiani, abbiano perso la consapevolezza che “è male”. È così tanto banalizzato, “reso ordinario” se posso dire, fa così tanto parte del quotidiano che ci si chiede cosa ci sia di male. Ne parlo coi giovani che incontro, e loro stessi me ne parlano anche e soprattutto fuori dalla confessione, e loro non vedono cosa ci sia di male. Prima ci si confessava sapendo di aver commesso un peccato, ora di meno. È un fenomeno nuovo. C’è dunque un lavoro immenso da fare per sensibilizzare al bene e al male» (link all’intera intervista).
Successivamente venne intervistato Sean Kilcawley, sacerdote diocesano statunitense:
«In passato per i sacerdoti il problema della pornografia era relativamente semplice da affrontare, in primo luogo nel confessionale – prega regolarmente, partecipa meglio ai sacramenti, consacrati a Maria, vai all’adorazione settimanale. Ora invece il problema assume una crescente complessità perché si è configurato a livelli variabili, come una dipendenza» (link all’intera intervista).
Il terzo contributo viene da un francescano italiano, il teologo Maurizio P. Faggioni che mi ha gentilmente autorizzato a riproporre qui alcuni stralci di una sua relazione del 2018, inizialmente pubblicata sul sito della Penitenzieria Apostolica. Il tema della relazione è “Questioni morali oggi emergenti che si presentano al confessionale”. Spiega padre Faggioni:
«il confessore non può semplicemente applicare (…) principi e di norme generali ai casi concreti, ma deve farsi vicino alla sofferenza, alla vita e, purtroppo, anche al vissuto peccaminoso delle persone. Questo non significa che si debba rinunciare a chiamare con il loro nome atti e comportamenti contrari alla parola del Vangelo, ma comporta che, nel giudicare, si sappia distinguere il peccato dal peccatore e si colga il disordine morale in sé inaccettabile non avulso dal contesto umano talora contraddittorio drammatico in cui prende forma il disordine. Non basta giudicare in astratto il lecito e l’illecito, ma bisogna aiutare la persona a trovare, in situazioni a volte molto difficili, la sua strada verso il bene» (link verso gli stralci selezionati della relazione).
L’ultimo contributo viene da un prete francese, anche padre di famiglia, don Michel Martin-Prével, la cui intervista è stata pubblicata lo scorso novembre da Aleteia. La sua constatazione:
«nell’arco di qualche anno la pornografia è diventata quasi onnipresente. Gli adolescenti presentano vere debolezze e sono facili prede. Ora in 8 Confessioni su 10 constato che tra i ragazzi la pornografia è un problema» (link all’intera intervista).
La pornografia è davvero una sfida pastorale prioritaria, e l’emergenza di queste questioni nei confessionali conferma l’asserita necessità di un’adeguata formazione dei sacerdoti e più generalmente degli accompagnatori spirituali. E il Santo Padre incoraggia i seminaristi «a imparare a conoscere il mondo nel quale sarete inviati» (Messaggio del 28 ottobre 2014 rivolto ai seminaristi francesi), un mondo che talvolta tende a dimenticare la dignità umana!